Studio Nardelli
Studio Nardelli

In cauda... il superfluo

Lunedì, 16 maggio 2020

di Giovanni Nardelli

 

 

C’è un aspetto che ci ha colpito e che riscontriamo quotidianamente in questi ultimi tempi e cioè che molte persone sia di genere maschile che femminile, hanno sviluppato una volontà a non voler più ritornare alla “vita di prima”, alla vita antecedente alle restrizioni che si stanno mettendo in atto per far fronte all’emergenza legata al COVID-19.

Quello che sta succedendo è una rinuncia a tornare a fare quello che si stava facendo prima. Perché questo? Le motivazioni potrebbero essere molteplici, ma in questa sede affronteremo un’area che è quella legata, a nostro parere, ad una concezione globale di economia. Con questo isolamento ci si è accorti, infatti, di appartenere ad un ingranaggio consolidato da sempre e che ci stritola: mi alzo, vado a lavorare, guadagno, pago il mutuo, posso comprarmi la macchina, ecc. ecc. Questo meccanismo economico nasce praticamente con noi ed è anche questo il motivo per il quale lo Stato ha deciso di chiudere “dopo” le attività commerciali. I nostri politici, infatti, sapevano perfettamente che si sarebbe creato e sin da subito un gap economico come effetto, sia a breve che a lungo termine, con ripercussioni difficilmente calcolabili a livello monetario globale. Poi, le persone hanno sperimentato, con la "clausura", una vita fatta di semplicità. Questo genere di vita si è consolidata nel corso del tempo, fino a trasformarsi da ciò che prima era forzato, poi, in qualcosa di diverso. Le persone hanno capito che ci si può accontentare anche di meno e si può vivere più felici, al “riparo”.

Il danno/opportunità è dunque su vasta scala. Da un lato, quello umano, dall’altro quello economico. Ma è apparso anche un altro aspetto: ci si è accorti di poter stare senza il superfluo e di stare bene. Si è sperimentato, infatti, anche che stare a casa in fondo è bello e comodo. La casa è la nostra naturale "zona di comfort", lontano da tutte quante quelle paure che ci sono fuori. E l’ansia che si configura come naturale dal punto di vista dell’isolamento e del dover ritornare, quindi in relazione al doversi ri-esporre, non è un qualcosa legata alla paura del contagio in se stesso, ma al ritornare a fare quella vita sacrificante che ci fa lavorare il doppio e guadagnare la metà. L’isolamento, quindi, rappresenta una scelta in qualche modo volontaria che ci porta ad escludere questo malessere dovuto alla sveglia mattutina e al correre al lavoro, al dover fare e rifare sempre le stesse cose… diciamo che in qualche modo abbiamo sperimentato “altro”… un qualcosa che, paradossalmente, ci fa stare bene… perché rinunciarvi!? Ma possiamo/possono permetterselo?

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